Messaggio in una bottiglia n° 13 L’uomo e il cervo, secoli di storie e di leggende

In questo periodo dell’anno, se vi avventurate in zone boschive della nostra penisola (ma non accade solo qui), può capitare di sentire il possente bramito dei maschi di cervo.  Ogni anno, tra settembre e ottobre, il cervo maschio si dedica al corteggiamento e ad affermare il proprio diritto a procreare esibendosi in tutto il suo vigore davanti alle femmine del branco.  Durante tutto l’anno i cervi maschi vivono tra di loro, in piccoli gruppi, fino all’arrivo dell’autunno quando spontaneamente si allontanano l’uno dall’altro per poi ritrovarsi e sfidarsi a suon di bramiti. Il cervo che con il proprio verso riesce ad intimorire maggiormente i suoi sfidanti ha la possibilità di rivendicare la priorità sulla scelta delle femmine rispetto agli altri pretendenti. Nel caso in cui il bramito non dovesse bastare nello spaventare il rivale, i contendenti sono pronti ad “incrociare” i loro palchi spingendosi con forza nel tentativo di far cedere il rivale.

E parlando del cervo mi è venuta voglia di fare la medesima operazione fatta la scorsa estate con il lupo, cioè andare a cercare l’approccio culturale che l’uomo ha dedicato a questo stupendo animale, a come è vissuto nella nostra letteratura, nella musica e nelle arti in genere. Non immaginavo certo, nella mia ignoranza in materia, di scoperchiare un simile vaso di Pandora.

Raffigurato già nelle pitture rupestri risalenti al Paleolitico, dove sembra che formasse, insieme al Toro, un sistema dualistico mitico-cosmologico, il cervo nobile (cervus elaphus) è stato un simbolo estremamente importante per le culture antiche. Distribuito in tutta Europa e in alcune zone dell’Asia, rappresentava il perpetuo rinnovarsi della vita e delle stagioni, grazie al palco (a forma di albero) che il maschio perde ogni anno alla fine della stagione degli amori. Lo si ritrova nella mitologia celtica e in quella nordica, mentre nella mitologia classica era la preda di caccia preferita di Artemide, che disponeva di quattro cerve per il traino del suo carro. In Asia Minore il cervo è al centro di un culto che verrà poi antropomorfizzato nel culto di Artemide Efesia, ma in realtà i culti di cervi sono diffusi in tutta Europa, soprattutto nelle aree di influenza della cultura celtica. In antichità si credeva, inoltre, che il cervo fosse nemico del serpente: questa e altre caratteristiche dell’animale (come il fatto di attraversare i corsi d’acqua in gruppo, aiutandosi l’un l’altro, e la conoscenza di piante medicinali per curarsi), risalenti ad Aristotele e riprese da Plinio, proseguirono nella tradizione del Fisiologo e dei Bestiari medievali. Con il cristianesimo, la figura del cervo si arricchì di significati, divenendo simbolo di Cristo e metafora del credente, che anela a Dio come la cerva all’acqua di fonte; un cervo con la croce in mezzo al palco compare nelle leggende agiografiche dei santi Uberto ed Eustachio. “(cit. Lessico del rapporto zoomorfico)

Insomma, il cervo, come il lupo, ha occupato prepotentemente un posto di rilievo nell’immaginario del genere umano in tutte le epoche, ne porterò a esempio solo alcuni.

Iniziamo dal mito di Atteone che, nelle metamorfosi di Ovidio, è trasformato in Cervo dalla dea Diana e viene sbranato dai suoi stessi cani perché non viene più riconosciuto. Il cacciatore che si trasforma in preda perché è entrato nel bosco sacro dove vivono dei e creature fatate.
Diana, la dea della caccia, viene sorpresa mentre è intenta a farsi il bagno aiutata dalle sue ancelle e, indispettita dalla presenza del cacciatore, gli getta negli occhi l’acqua della fonte, trasformandolo in cervo. Il mito di Atteone ha conosciuto una grande fortuna nelle rappresentazioni artistiche di molte epoche, nella Grecia classica e poi presso gli antichi Romani, per tutto il Medioevo fino ad arrivare al Settecento, nelle miniature, negli affreschi dei palazzi e nei quadri. Una veramente suggestiva la potete vedere nel gruppo scultoreo nella Reggia di Caserta della fontana “Diana e Atteone”

Passando dal mondo Classico alla cultura Celtica, scopriamo che anche qui il cervo ha avuto un ruolo importantissimo. Infatti, il cervo è anche uno degli animali più importanti per i Celti, per la sua connessione con il mondo dei morti e con Cernunnos, dio della virilità, della fecondità, della guerra che, non ha caso, è rappresentato con le corna di cervo, simbolo di regalità e di appartenenza alla natura, ma anche di fertilità e coraggio.

Nella caccia sacra del mondo celtico, era il cervo che doveva essere ucciso, per poter dimostrare l’audacia di un nuovo guerriero, munito solo di arco. Sempre il cervo è legato alle leggende dell’eroe di Leinster Finn: i suoi discendenti si chiamavano Oisin-ovvero cerbiatto- e Oscar, che significa “amante del cervo”. Altra associazione importante a questo nobile animale è quella alla simbologia lunare. Le corna riprendono la forma dell’arco della signora del cielo, simbolo del ciclo della natura, della magia, dei luoghi selvaggi. Sempre a questo proposito è ricondotta la simbologia della cerva bianca, spesso associata alla Grande Madre, riconosciuta come incarnazione del sacro, che si manifestava a coloro che erano scelti per intraprendere il percorso sciamanico.

 

E parlando della cerva bianca facciamo un balzo di secoli, in questa breve e assolutamente parziale passeggiata nell’immaginario umano, arriviamo ai nostri giorni con due canzoni che prendono spunto proprio da queste antiche leggende.

La prima è la “Complainte de la Blanche Biche”, una ballata bretone, in cui avviene l’elemento fantastico e magico della trasformazione notturna della bionda Margherite-Margot in una cerva bianca. Ebbi la fortuna di ascoltarla la prima volta “dal vivo” nei primi anni Ottanta, eseguita da Véronique Chalot al Folk Studio (compianto locale di Roma dove passavano musicisti eccezionali e potevi ascoltarli stando a un metro di distanza). È con tutta probabilità tra le più antiche dell’intera tradizione francese. Fa parte di tutto un sistema di miti e tradizioni, di probabile origine celtica, che nel XII secolo fornirono a Marie de France (in italiano: Maria di Francia) lo spunto per molti dei suoi celeberrimi Lais. Nel Medioevo francese, i cosiddetti Lais sono brevi poesie d’amore in forma lirico-narrativa; si tratta dell’amor cortese tipico dell’epoca, basato su leggende di varia provenienza. Questa romantica storia nasconde però un mito più antico e ben più tragico, dissimulando un tema che nelle antiche ballate era all’ordine del giorno: l’incesto (volontario o accidentale). Storie e leggende antiche, che nascondono però una realtà terribile altrettanto antica e attuale al tempo stesso. La “bianca cerbiatta” è la donna eterna vittima delle violenze domestiche e familiari, è la ragazzina stuprata dal fratello o dal padre; una consuetudine, questa, che era la norma non solo nel mondo rurale, anche se in esso era particolarmente evidente.  Le ballate popolari, fin da tempi antichissimi, si siano impadronite di questo tema, ma è sotto gli occhi di tutti che nella società industriale e post-industriale il fenomeno sia venuto a cessare. Purtroppo, è nell’ambito familiare che le ragazze e le donne subiscono la maggior parte delle violenze.

 

 

Ma per tornare al nostro cervo, la seconda canzone è “Il dono del cervo”, di Angelo Branduardi.  Un nobile signore, tornato da una battuta di caccia, racconta il sorprendente incontro avuto con un cervo.

L’animale gli parla: presto dovrà morire, ma prima si donerà interamente al signore. La carne, allora, sarà cibo; la pelle, riscalderà; il fegato porterà coraggio… I doni del cervo sono sette e per sette volte rifioriranno rinnovandone la vita.
Questa canzone prende spunto dalle leggende che ho citato e da questa concezione “panteista” del mondo. Il cervo come una parte della natura destinato a non scomparire ma a trasformarsi in qualcos’altro. Una canzone dal significato profondo che invita a riflettere sul nostro modello di vita.

 

Per concludere una curiosità, dal nome del cervo, deriva poi la parola castigliana cerveza “birra”, entrata in latino come cervesia (e cerevisia) attraverso le Gallie. La birra era così chiamata per il colore biondo, che ai Galli doveva evocare il colore del cervo.

Spero che sia stato interessante e non vi abbia annoiato troppo, a presto!

Il Lupo Cerviero

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3 commenti

  1. Ottimo lavoro, cugino caro. I tuoi racconti stanno assolutamente scalando le classifiche.
    In ogni caso, ti leggo sempre con interesse!!
    👏👏👏👏

    1. Grazie Massimo, mi fa proprio tanto piacere è un modo come un altro per rimanere in contatto. A giorni uscirà il prossimo libro “La belva più feroce” e a ottobre faremo una presentazione a Roma, alla libreria Piave, vi informerò tempestivamente della data e spero di vederti. Un abbraccio.
      PS Hai letto il racconto “Era d’estate”? Chiaramente era molto di fantasia ma, ti ha ricordato nulla? Perché come dice Lello “… secondo me gli scrittori sono tutti bugiardi, dicono che inventate le cose e invece non inventate niente. E’ tutto vero! Ma perché Dante, non la conosce veramente a Beatrice? E Leopardi? Anche Leopardi conosce bene a Silvia. E’ tutto vero, tutto vero…” (cit. Ricomincio da tre, di Massimo Troisi) 😉

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