Da ragazzo mi colpì molto la lettura del libro “La via del ritorno” di Erich Maria Remarque. Racconta del ritorno dei reduci della prima guerra mondiale alle loro case, la ritirata e il ritorno in Germania di Ernst e la sua compagnia. Solo trentadue uomini, dei più di cinquecento fanti partiti all’inizio della Grande guerra.
Racconta dell’indifferenza con la quale vennero accolti nei loro paesi d’origine, dell’enorme distacco di chi la guerra l’ha vissuta da soldato e chi da civile, e della difficoltà nel tornare a una vita “normale”, dopo anni di guerra di trincea, forse lo scontro più cruento e barbaro che si sia mai combattuto in epoca moderna.
Racconta della frustrazione che intere generazioni dovranno subire per la sconfitta e per le sanzioni legate alla Conferenza di Parigi. Le somme astronomiche richieste alla Germania dai paesi vincitori della Prima Guerra Mondiale per risarcire i danni di guerra, unite agli effetti della Grande Depressione (cominciata nel 1929) minarono profondamente la stabilità dell’economia tedesca, bruciando i risparmi personali della classe media e provocando una massiccia disoccupazione.
Questo caos economico fu alla base dell’aumento delle tensioni sociali e portò alla destabilizzazione della già fragile Repubblica di Weimar. Inoltre, gli sforzi delle nazioni europee di emarginare la Germania minarono e isolarono i suoi leader democratici, sviluppando allo stesso tempo nella popolazione tedesca il bisogno di ricreare il prestigio della nazione germanica, in particolare attraverso il riarmo e l’espansione territoriale.
Oltre agli effetti economici devastanti sul loro Paese, la Conferenza di Parigi, diede quindi ai tedeschi un nemico comune e un obiettivo: la costituzione di un unico paese per tutti i popoli di lingua tedesca. Tale obiettivo condusse il nazionalismo al suo livello estremo ponendo le fondamenta del Nazismo, creando quell’humus necessario perché un dittatore potesse seminare le proprie idee di potere.
Per tornare ai nostri giorni. Da queste riflessioni storiche e osservando il percorso che ha fatto la Russia dalla fine dell’Impero Sovietico all’attuale dittatura, viene da chiedersi quali responsabilità abbiano le “democrazie occidentali” nell’evoluzione antidemocratica di questo paese. Nel ’93 andai a Mosca e a San Pietroburgo (ex Leningrado) per questioni di lavoro. L’aereo era al 90% pieno di sedicenti affaristi e speculatori che andavano a cercare fortuna o, nel peggiore dei casi, avventure poco galanti a basso costo. Incontrai il responsabile del Centro di Calcolo dell’Università di Mosca, un ingegnere preparatissimo e molto disponibile che mi spiegò perché i laboratori fossero vuoti. Lui prendeva uno stipendio mensile equivalente alle nostre 20.000 lire al mese; vicino alla Piazza Rossa, i venditori ambulanti improvvisati vendevano ai turisti gli orologi dell’Armata Rossa a 10.000 lire l’uno e in una giornata ne potevano vendere anche dieci.
In quell’occasione l’Occidente non aiutò il tentativo di Gorbaciov e di gran parte del popolo russo di approdare a una democrazia. Preferì umiliare la Russia e farla terra di conquista. Preferì accordarsi con speculatori locali, gli attuali oligarchi, per costruire un ponte che favorisse profitti inimmaginabili. Questo ha provocato nella popolazione un nazionalismo sfrenato e, come predisse Gorbaciov in una sua visita a Roma nel 1998: “Dopo Eltsin potrà venire qualcosa di peggiore con gravi rischi per la pace”. E’ stato una facile Cassandra.
La storia insegna, peccato che l’aula sia vuota di studenti disposti ad ascoltare.
FL
Dice la Bibbia che “Chi semina vento raccoglie tempesta”. Andrebbe aggiornato, perché quelli che seminano vento si arricchiscono (lo notava anche Trilussa nella sua Ninna nanna della guerra), mentre la tempesta colpisce la povera gente.
Anche la frase (attribuita a Marx) “La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa.” andrebbe rivista. Non imparando niente dalla Storia e facendosi guidare dall’avidità la Storia si ripete più e più volte, ed ogni volta è una tragedia peggiore.
Concordo, anche lo storico filosofo e giurista partenopeo, Giambattista Vico elaborò una teoria sulla storia umana caratterizzata dal continuo e incessante ripetersi di tre cicli distinti: l’età primitiva e divina, l’età poetica ed eroica, l’età civile e veramente umana. Nella “teoria dei corsi e dei ricorsi storici” Vico sosteneva che alcuni accadimenti si ripetevano con le medesime modalità, anche a distanza di tanto tempo e ciò avveniva non per puro caso ma in base a un preciso disegno stilato della divina provvidenza. Ora, escludendo che ci sia lo zampino divino nei sfaceli che combiniamo come umanità, in quale dei tre cicli siamo in questo momento come modello sociale occidentale? Quello che abbiamo vissuto dagli anni ’70 ad oggi, almeno per l’occidente, era forse un ciclo di “età civile e veramente umana” del quale abbiamo beneficiato senza conflitti? Allora vuol dire forse che stiamo ripiombando “nell’età primitiva”’…
F.L.