Personaggi principali in ordine… a caso
Verbelliani: Abitanti di Verbello
Belsoliani: Abitanti di Belsole
Benito Bruschi: Sindaco di Belsole
Amedeo Briganti: Assessore Regionale all’Ambiente
Imperio Capafresca: Presidente della Regione
Calogero Serracchio: Cognato di Capafresca e imprenditore edile
Erminio Scalzi: Presidente del Parco Regionale Monte Merlo
Adelina: Proprietaria del “Emporio da Ida”
Amelio: Macellaio di Verbello
Rosa: La di lui moglie
Dott. Enrico Maria Corrioni: Veterinario
Professor Ildebrando Acciari: Archeologo in pensione
Ugo: Fornaio
Romolo: barista n°1
Il Toscano: barista n°2
Erminio “Stecca”: giocatore di biliardo
Armando: il fabbro di Verbello
Nandino: nipote del sindaco di Verbello
Non riusciva a darsi pace, si girava e rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno. La pessima figura rimediata con i Giochi Celtici dell’Altopiano lo aveva reso lo zimbello di mezza regione. Qualche giornaletto locale, certamente sobillato da quegli infidi dell’opposizione, lo aveva sbeffeggiato, mettendo in ridicolo quelle che lui riteneva legittime ambizioni. Doveva subito inventarsi qualcosa per riconquistare, almeno, l’interesse e il rispetto dei suoi concittadini che, dopo la batosta incassata dai Verbelliani, cominciavano a rumoreggiare e a mettere in discussione le reali capacità del loro Primo Cittadino. Pensa che ti ripensa, si stava facendo giorno e ancora non era riuscito a chiudere un occhio. Decise così di alzarsi anche per non svegliare la consorte, anch’essa profondamente delusa e arrabbiata nei suoi confronti per gli esiti delle sue “originalissime”, così le aveva definite con sarcasmo, idee. Andò in cucina a prepararsi il caffè, con un’intera moka da quattro riempì una tazza e decise di andarselo a bere sulla terrazza. L’aria del primo mattino era fresca e gli riportò un po’ di buon umore e la voglia di combattere. Guardò la montagna, che si ergeva imponente alle spalle della casa . La distesa verde dei prati, quella più scura degli abeti che si spingeva fin sotto la cima. La cabinovia che tagliava in due il bosco e le seggiovie più in alto, che portavano nella parte sommitale di quelle che l’inverno erano le piste da scì. Tutto quel bel capolavoro gli era fruttato l’elezione a Sindaco; ditte riconoscenti per gli appalti corposi, politici felici di tagliare nastri, esercenti del paese entusiasti della folla che, nei fine settimana e nelle feste comandate, riempiva i loro locali. A parte quei rompiballe degli ambientalisti, che non perdevano occasione per lamentarsi, lui aveva, con orgoglio, rimesso in moto l’economia del paese. Il fatto non ufficiale, ma che aveva contribuito non poco alla crescita del suo consenso, era certamente il bel giro di soldi che aveva permesso agli “amici degli amici” un bel lavaggio generale di valuta. Proprio mentre stava pensando con nostalgia ai fasti di quel periodo, un lampo gli illuminò il cervello, un’idea eccezionale, brillante, ardita, come solo lui poteva partorire: Perché non coprire di piste e di impianti anche l’altro versante del Monte Merlo? Questo avrebbe risvegliato l’interesse di tutti, gli avrebbe ridato prestigio e consolidato il suo potere. Unico problema, ma risolvibile, quel versante era zona protetta e parco naturale, soggetto a numerosi vincoli. Per fortuna, poteva contare sulla Giunta Regionale che, alle ultime elezioni, aveva soppiantato la precedente. La vecchia maggioranza era piena di “cacadubbi” e moralisti, con i quali non aveva mai avuto un buon rapporto. Questa nuova, appena uscita dalle urne, invece, era molto più spigliata e “malleabile”, sensibile al business e a incentivare l’economia del territorio, specialmente se aiutata con bustarelle opportunamente distribuite. L’unico vero scoglio era la solita associazione di ambientalisti, capeggiati da quel testa di… ehm, quella testa calda del veterinario di Verbello, il Dott. Enrico Maria Corrioni, un’insensibile integralista che metteva al primo posto gli animali e le piante, senza pensare a quanto, in termini economici, poteva fruttare tutto quel ben di Dio che la natura gli aveva messo a disposizione. Si sarebbe occupato di loro in un secondo momento, ora doveva raccogliere il consenso in Regione e decise di muoversi subito. Si preparò in breve tempo e, appena pronto per uscire, andò nella stanzetta adiacente la lavanderia, spostò un poster che era attaccato al muro e aprì la cassaforte che si celava dietro di esso. Questa conteneva alcuni rotoli di denaro, da mezzo milione di euro l’uno, e una certa quantità di documenti “riservati” che all’occorrenza potevano costituire la sua assicurazione sulla vita. Passò in camera, vide che sua moglie ancora dormiva e le lasciò un biglietto con su scritto: “Vado a investire sul nostro futuro!”, e se ne andò chiudendo adagio la porta.
§§§
A Verbello si respirava ancora l’atmosfera della settimana di festeggiamenti che era seguita alla vittoria dei Giochi Celtici. Il trofeo, con lo scozzese in gonnella che suonava la cornamusa, faceva bella mostra di sé su una mensola del Bar dei Due Compari. I postumi delle ripetute sbornie non erano ancora stati smaltiti dalla maggioranza della popolazione e il clima di perenne depressione aveva lasciato il posto a una momentanea euforia. Le gesta della squadra che aveva sconfitto i Belsoliani si arricchivano, ogni giorno che passava, di particolari che avevano un che di mitologico. Questo grazie anche alla fervida fantasia dei narratori che, di volta in volta, aggiungevano fatti mai accaduti ma che acquistavano il titolo di verità assolute nel giro di poche ore. Il Toscano, da capitano non giocatore, aveva acquistato fama e notorietà che travalicavano ormai i confini delle stesso comune. Il suo genio strategico veniva paragonato ai più grandi generali della storia; Adelina, la proprietaria dell’Emporio da Ida, lo definì “Il nostro Ulisse!”, ambendo, dentro di sé ma senza alcuna speranza, a diventare la “sua” Penelope. Nonostante ciò, in cuor loro, tutti sapevano che quell’effetto benefico sarebbe presto passato e che sarebbero ripiombati, inevitabilmente, nel solito grigiore quotidiano. Per alcuni però, aver assaporato la gioia della vittoria aveva significato vivere per qualche giorno in un’altra realtà, ci avevano preso gusto e non ci stavano a ritornare a essere gli sfigati di sempre. Primo tra tutti il Dott. Enrico Maria Corrioni, che oltre alla vittoria di squadra, aveva portato a casa un’affermazione individuale con la bella Rosa. Dopo quell’esperienza esaltante, negli spogliatoi dello stadio di Belsole, il giovane veterinario aveva letteralmente perso la testa per la più matura e procace moglie di Amelio, il macellaio. Il suo atteggiamento distaccato e sarcastico era miseramente crollato sotto i colpi dell’esperta ammaliatrice. Da quando era tornato a Verbello, si era scoperto, improvvisamente, grande estimatore dei piatti a base di carne. Quasi ogni giorno si presentava in macelleria per acquistare bistecche, spezzatino, osso buco, polli, conigli e chi più ne ha più ne metta; tanto che, per non buttare tutto quel ben di Dio, fu costretto a comprarsi un congelatore a pozzetto, dove stipava quintali di derrate alimentari. La cosa non passò inosservata ad Amelio che, per quanto nutrisse una sorta di venerazione per il Dottor Corrioni, cominciò a guardare con sospetto l’andirivieni del veterinario. Oltre ad Amelio, un’altra abitante di Verbello aveva orientato i suoi radar su quello che stava accadendo nella vicina macelleria: Adelina. Dalla porta del suo emporio , che dominava la piazza, la donna raccoglieva informazioni e dati, utili al suo personale “data base”, che avrebbe elaborato, con il consueto stile, arricchendoli di particolari piccanti e pruriginosi.
§§§
L’Assessore Briganti lo accolse con un sorriso a quarantadue denti nel suo studio, al dodicesimo e ultimo piano del palazzo di vetro della Regione.
«Caro Bruschi! Qual buon vento la spinge a questi lidi? Appena ho saputo dalla segreteria che voleva vedermi, ho disdetto tutti gli appuntamenti di questa mattina. Da lei, di solito, si ricevono sempre belle nuove» disse con fare mellifluo l’Assessore, marcando la parola “ricevono”.
Briganti (nomen omen!) era assessore da quattro legislature, nominato alternativamente dai partiti prima dell’una e poi dell’altra parte, insomma un politico buono per tutte le stagioni. Fisicamente assomigliava in maniera impressionante a un personaggio del film Guerre Stellari, non so se avete presente Jabba the Hutt, una specie di “rospone” grasso e untuoso, che aveva un modo di fare così viscido che faceva impressione anche il solo stringergli la mano.
«Caro Assessore, ho avuto una splendida idea che potrà portare reciproci benefici, sia politici che altro…» esordì il Sindaco, venendo immediatamente azzittito da un’occhiataccia dell’Assessore.
«Bene, mi fa piacere, mi segua che ne parliamo» rispose il Briganti, facendogli segno di tacere e di seguirlo. Si diresse verso una porta laterale della grande ufficio, la aprì e fece accomodare il Bruschi in quello che scoprì essere il bagno. Sentendosi un po’ a disagio, assecondò l’omaccione ma cercò di tenersi quanto più possibile vicino alla porta. La stanza era senza finestre e non era molto ampia, tanto che Briganti ne occupava quasi la metà. L’Assessore chiuse la tavoletta del water e ci si accomodò senza imbarazzo sopra. Accese l’aeratore che faceva un bel baccano e disse sottovoce:
«Cautela amico mio, cautela! Non hai saputo che ierlaltro sono venuti a prendere Bernocchi, quello della Sanità? Io glielo avevo detto: “tu parli troppo, qui il nemico ci ascolta”. Ma lui niente, non mi ha dato retta, mi aveva risposto: “Ma ti pare che vengono a intercettare a noi”. Ben gli sta! Per fare il nostro mestiere bisogna essere capaci, non ci si improvvisa. Guarda me! Ho fatto il Presidente della società che gestisce gli acquedotti pubblici, il Presidente del Consorzio per lo smaltimento dei rifiuti, quello delle attività portuali e mai avuto un avviso di garanzia o una denuncia a mio carico. Ho raccomandato quattromilacinquecento trentuno persone, che mi hanno portato quasi duecentomila preferenze alle ultime elezioni e nessuno ha mai messo in dubbio la loro legittimità. Fare il Politico è un mestiere per pochi; lo lasciassero fare ha chi ha gli attributi per farlo. Ti ci vedo bene in questo palazzo, sei ancora grezzo, ma se ti fai crescere un po’ di pelo sullo stomaco, alla prossima legislatura ti metto nella mia segreteria. Che stai a fare lì al paesello, qui c’è la “ciccia” vera!» concluse mimando il gesto della forchetta «Ma ora dimmi, cosa hai in mente?».
Il Sindaco Bruschi gli parlò dell’idea che aveva avuto degli impianti da scì sul versante nord del Monte Merlo. All’Assessore piacque subito l’idea, anzi pensò pure di ampliarla: perché limitarsi agli impianti? Un bell’albergo con piscina, sauna e ristorante, nel punto dove sarebbero arrivate le piste da sci, poteva costituire la ciliegina sulla torta.
«Fammi fare un paio di telefonate, ma l’idea mi piace. Credo che dovremmo coinvolgere anche i tuoi amici della “lavanderia”, con loro si fanno sempre ottimi affari. In ogni caso devo parlare con il Presidente e con un paio di membri di Giunta quel versante della montagna è area protetta e ricade nel Parco Regionale, dobbiamo, necessariamente, rivedere i confini del Parco prima di convocare la Conferenza dei Servizi, ma nulla di impossibile. Per ora non parlarne con nessuno, non vorrei allarmare i soliti ambientalisti per i quali non si può mai fare nulla e sono subito pronti a rompere le balle e a metterci i bastoni tra le ruote. Ti faccio sapere io. Ce l’hai l’altro mio numero? Mi raccomando usa sempre e solo quello e utilizza WhatsApp. Sempre “alleprato”, mi raccomando!».
Uscirono dal bagno proprio mentre la segretaria entrava nello studio dopo avere ripetutamente bussato. Rimase un attimo interdetta, poi, con aria schifata, lanciò un’occhiata al Bruschi che voleva dire “Ma come fai?” poi, con aria indifferente, rivolgendosi al Briganti disse:
«Assessore l’ha cercata il Presidente, è per la Multi Servizi…».
«Vado, vado subito. Grazie Pamela, accompagna il Dott. Bruschi, noi abbiamo finito».
§§§
Il Briganti non perse tempo, approfittò della trattativa per nominare il CdA della Multiservizi, un serbatoio di voti preziosissimo, per parlare dell’idea dei nuovi impianti al Presidente della Regione, spacciandola per sua. Il Presidente Capafresca non era astuto come l’Assessore, ma aveva un certo fiuto per gli affari e pensò subito a come sfruttare al meglio quell’occasione. Il cognato, Calogero Serracchio, aveva una validissima ditta edile e una società che affittava macchine per movimento terra; quale migliore occasione per farlo lavorare un po’. Anche se pensò di dover prima mettere in chiaro alcune cose. L’ultima volta aveva faticato non poco a insabbiare l’inchiesta che aveva coinvolto la sua impresa in seguito a un’ispezione dell’ispettorato al lavoro che aveva trovato diciotto operai su venti non in regola, nove senza permesso di soggiorno e tutti e venti senza la benché minima dotazione di sicurezza. Il povero Capafresca era dovuto ricorrere a tutti i suoi contatti politici e a un oneroso ausilio economico agli ispettori per non far avere conseguenze peggiori a quel cretino del marito della sorella. Non che facesse questo per bontà o altruismo, ci mancherebbe! Lo faceva essenzialmente perché il 60% sui profitti, che si pigliava a ogni appalto, gli faceva proprio comodo. Quell’idea dei nuovi impianti lo stuzzicava proprio, disse all’Assessore di accomodarsi e chiamò subito il Presidente del Parco Regionale di Monte Merlo, Erminio Scalzi. Era totalmente confidente sulla sua disponibilità; in fondo, in quella posizione ce lo aveva messo lui.
«Caro Erminio, come va?» esordì Capafresca.
«Che ti serve?» rispose gelido l’interlocutore.
«Dobbiamo parlare del Parco».
«Certo, non pensavo che mi chiamassi per conoscere le previsioni del tempo».
«Ma ti sei alzato male oggi? Che ti prude?».
«Non fare lo gnorri, sai benissimo perché sono incazzato».
«No, non lo so, se mi fai la grazia di spiegarmi…».
«Ti dico solo un nome: Eugenio».
«Aaah! Per quella storia, ma non è colpa mia se tuo nipote è un grandissimo cretino».
«Mi avevi promesso che lo avresti fatto entrare come usciere alla Regione, invece al concorso è arrivato ultimo».
«Ma caro Erminio, gli abbiamo passato lo scritto, e ha sbagliato a copiarlo; all’orale, quando, per fargli una domanda facile, facile, gli hanno chiesto a che temperatura bolle l’acqua, ha risposto: “a 90 gradi”. Poi, per completare l’opera, quando gli hanno detto che ci era andato vicino ma che non era proprio la risposta giusta, se ne è uscito con: “E’ vero! Avete ragione, a 90 gradi bolle l’angolo retto!” Ma come facevano a fargli vincere il concorso?» disse sconsolato il Presidente.
«Se tu vuoi, puoi. Sei riuscito a far assumere pure Ernestina» ribatté Erminio.
«Ancora con quella storia? Ernestina me l’ha segnalata sua Eminenza, e non mi far dire altro, finiamola qui. Comunque, stai tranquillo, in qualche modo quel citrullo di tuo nipote lo sistemiamo. Ora parliamo di cose serie, vieni nel mio studio che dobbiamo ragionare su un progetto interessante» tagliò corto Capafresca.
«Veramente ora avrei da fare…».
«Sono argomenti con sei zeri, quindi alza il culo e vieni qui!» concluse perentorio il Presidente.
Scalzi sapeva bene che, se c’erano tanti soldi di mezzo, era meglio non fa innervosire Capafresca, sarebbe stato capace di tutto, pure di togliergli la presidenza del Parco.
«Arrivo» disse mogio.
La sede del Parco Regionale era poco distante dagli uffici della Regione e dopo venti minuti Erminio Scalzi si presentò al cospetto del Presidente.
«Ah, ci sta lui di mezzo! Allora sono dolori!» disse vedendo che nella stanza c’era l’Assessore Briganti. Appartenevano allo stesso partito, ma a due correnti diverse. Non che ci fossero divergenze di linea politica (la linea politica non esisteva più da decenni), quello che li distingueva e li contrapponeva erano, essenzialmente, i diversi comitati d’affari che rappresentavano.
«Buongiorno eh?! Sempre cordiale come al solito!» rispose Amedeo stizzito.
«Finitela subito con queste discussioni infantili, conservatele per le riunioni di partito. Ora dobbiamo parlare di cose serie» intervenne autoritario Capafresca, «Caro Erminio, vado subito al sodo, ho avuto un’idea che certamente ci porterà voti e ritorno economico».
Briganti vedendosi scippare a sua volta la paternità dell’idea che aveva appena rubato al Sindaco Bruschi, si fece torvo in viso, ma non disse nulla.
«Ma non ne parliamo qui, seguitemi.» aggiunse il Presidente indicando una porta laterale che si apriva nel suo ufficio. Entrarono così in una stanza da bagno più ampia di quella dell’Assessore, dotata anche di poltroncine supplementari. Mentre il Briganti lo seguì senza discutere, Scalzi lo guardò perplesso e disse acido:
«Da quando le riunioni si fanno nei cessi?».
Capafresca lo fulminò con lo sguardo, gli fece segno di tacere, fece entrare anche lui nella stanza e chiuse la porta.
«Ma sei cretino o ci fai?» disse furioso il Presidente, «Si fanno nei cessi da quando le stanze della Regione sono tappezzate di cimici. Non ti basta l’ultima infornata che ha fatto la Guardia di Finanza? Questa stanza l’ho fatta bonificare personalmente io, avevano messo microfoni pure sotto al tazza del cesso!».
«Come non detto, non immaginavo…» rispose contrito Scalzi.
«Certo, tu cadi sempre dal pero, prima o poi ci farai passare un guaio. Allora, come dicevo, mi è venuta l’idea di realizzare un bel complesso turistico sulla parete nord del Monte Merlo. Comprenderà una cabinovia, delle seggiovie e un albergo con sauna e piscina in quota, oltre, ovviamente, tutti i servizi che andremo a realizzare alla base delle piste. L’amico Amedeo qui è d’accordo. Che te ne pare?» disse Capafresca dando un’occhiata d’intesa al Briganti che non ricambiò, anzi, lo guardò ancora più torvo.
«Penso che siete matti» esclamò il Presidente del Parco, «Quell’area è in pieno Parco Regionale ed è anche zona protetta perché ospita specie endemiche. Sai che casino ti fanno gli ambientalisti!».
«E’ per questo ti abbiamo chiamato» rispose l’Assessore Briganti prendendo d’anticipo il Capafresca e cercando di riprendere il controllo della cosa che gli stava sfuggendo di mano, «Quando ho avuto questa idea» marcando la parola “ho” «ho pensato che non fosse un problema arretrare i confini del Parco di qualche centinaio di metri. Se poi per specie endemiche intendi quattro “sorci” e qualche vipera non credo che interessino a nessuno» asserì l’Assessore.
«Prima di tutto i “quattro sorci” sono una rara specie di arvicola presente solo qui e in pochi altri siti. Poi ci sono cinque specie di rettili e anfibi in pericolo di estinzione, tra cui il tritone crestato. Ma oltre a questo, è rimasta l’unica area dove possono stare tranquilli cervi, caprioli, camosci e l’unico piccolo branco di lupi della Regione, dato che l’altro versante lo abbiamo già sventrato in lungo e in largo» disse Scalzi, che non aveva dimenticato di essere, in fondo, molto in fondo, anche uno zoologo.
«Tu il vizio originale non lo perdi mai!» lo apostrofò Capafresca alzando la voce, «Ricordati che ti ho nominato Presidente del Parco non per le tue ‘mirabolanti’ conoscenze scientifiche, ma per i voti che mi porta tua moglie come segretaria dell’Onorevole “Chisaitu”, e non mi far dire altro. Se questo incarico ti pesa troppo risolviamo subito la questione, c’è l’amico Consigliere Trombetta che scalpita per prendere il tuo posto» minacciò cinicamente il Presidente.
«Ma Trombetta è un semianalfabeta!» osservò animoso il povero Scalzi.
«Meglio! Così non rompe le balle come te con sorci, serpi e altre creature immonde» sentenziò Capafresca. Scalzi si fece tutto rosso in viso, ma capì che doveva ingoiare il rospo se voleva conservare quella carica. Lui era stato anche un brillante zoologo, ma dopo anni di precariato e di stipendi da fame, quando la moglie, segretaria personale di un Senatore della Repubblica, gli aveva procurato questo incarico, non aveva saputo dire di no, ed era stato accolto nella grande famiglia del Partito che governava l’intero Paese da decenni.
«Obbedisco!» concluse Scalzi abbassando la testa.
«È arrivato Garibaldi!» disse Briganti con sarcasmo, scoppiando a ridere sguaiatamente. Quando rideva era uno spettacolo disgustoso, tutta la ciccia in sovrabbondanza cominciava a ballare facendolo sembrare, sempre di più, un gigantesco rospo . Erminio non si fece sfuggire l’occasione e gli disse:
«Sembri un batrace!».
«Un che?» rispose l’Assessore.
«Fatela finita una volta per tutte!» intervenne il Presidente Capafresca, bloccando sul nascere l’ennesima discussione, «Allora, convoco la Giunta per la prossima settimana, così prepariamo il passaggio in Consiglio Regionale. Mi aspetto che l’opposizione faccia un gran casino, ma parlo io con il Segretario del loro partito. Gli garantiamo il 30% del giro d’affari e una trentina di posti di lavoro e così si limiteranno a fare un po’ di buriana per salvare la faccia ma niente di più».
E con questo tirò lo sciacquone del water, la riunione era finita.
§§§
Come aveva previsto il Presidente, l’opposizione fece un po’ di rumore in aula, minacciarono di incatenarsi ai banchi, si stracciarono le vesti, ma poi, quando fu il momento di votare, abbandonarono sdegnati il Consiglio Regionale, garantendo, di fatto, carta bianca alla maggioranza. Vennero così ridisegnati i confini del Parco Regionale del Monte Merlo, escludendo completamente lo stesso Monte Merlo dal territorio protetto. A chi fece notare una certa contraddizione nel nome del Parco, che ormai non comprendeva più il Monte Merlo, fu risposto che non ci avrebbe fatto caso nessuno ed erano solo questioni di lana caprina. Quando gli esiti delle delibere furono resi pubblici si scatenò il previsto putiferio. Le associazioni ambientaliste gridarono allo scandalo minacciando manifestazioni di protesta e i giornali dell’opposizione lanciarono strali attraverso editoriali al fulmicotone. Di contro, le associazioni degli albergatori plaudirono all’iniziativa così come quelle dei cacciatori che si ritrovarono in questo modo un territorio vergine pieno di selvaggina da abbattere. Cominciò, a questo punto, una campagna mediatica da parte della maggioranza, basata su notizie false e pilotate, per screditare gli ambientalisti e chiunque si opponesse all’idea. Titoli altisonanti occuparono le pagine regionali delle principali testate nazionali e giornaletti locali: “Lancio di lupi e vipere da parte degli ambientalisti sul Monte Merlo”; “Gli animalisti si oppongono alla crescita del territorio per tutelare le vipere”; “Per gli ambientalisti sono più importanti i topi delle persone” e così via. Poi iniziò la presenza, nei talkshow delle TV regionali, di opinionisti-esperti-tuttologi, che non mancarono di dire la loro, su quanto fosse buona l’iniziativa e quali grandiosi ritorni economici avrebbe portato alle comunità locali. Insomma, il solito circo equestre che trasformò tutto in una farsa e portò alla nausea sull’argomento ascoltatori e lettori. Come tutte le cose di questo Paese, l’attenzione andò piano piano scemando e dopo un mese, tra campionato e le beghe familiari di qualche VIP, non ne parlava già più nessuno e l’attenzione di tutti era rivolta altrove. Tutti tranne il Dott. Enrico Maria Corrioni, presidente della locale sezione dell’Associazione per la tutela dell’ambiente e bersaglio preferito di articoli che gettavano discredito sul suo operato. Le voci su chi fosse stato a innescare tutto quel putiferio arrivarono anche alle orecchie attente dei Verbelliani, e per l’odiato Benito Bruschi si prospettarono tempi difficili. I cittadini di Verbello si unirono tutti intorno al loro compaesano veterinario, non perché gliene fottesse nulla dell’ambiente o degli animali del Monte Merlo, ma per sano campanilismo e perché l’iniziativa avrebbe portato altra ricchezza agli odiati Belsoliani. Fu convocata una riunione urgente del Consiglio Comunale al Bar dei Due Compari, a cui partecipò tutta la popolazione. Si abbassarono le saracinesche e si fermarono le attività, l’indignazione e la sete di vendetta impregnavano l’aria. Il Sindaco lasciò la parola al Dott. Corrioni, persona a conoscenza dei fatti:
«Cari amici e compaesani, i nostri vicini stanno per compiere un nuovo misfatto ambientale e vogliono mascherarlo da investimento per lo sviluppo del territorio, mentre sarà solo un altro modo per sfruttarlo e rovinarlo»
«E a noi che ce ne importa?» gridò una tra le persone convenute. Il Toscano lanciò un’occhiata verso Romolo che si alzò, prese il concittadino per la collottola e gli mollò uno schiaffone a cinque dita:
«Parla quando sei interrogato, cretino. Vuol dire che quelli di Belsole faranno ancora più soldi alla faccia nostra» disse il Compare dopo che Romolo aveva rimesso a sedere il meschino sulla sedia.
Alle parole del Toscano, un mormorio di indignazione serpeggiò tra i presenti.
«Ma come facciamo a impedirlo?» chiese qualcuno.
«Propongo di costituire un comitato di esperti che analizzi il problema» rispose il Toscano che dopo l’affermazione ai Giochi Celtici era diventato un punto di riferimento per ogni iniziativa bellicosa.
La proposta venne accolta all’unanimità e si decise che avrebbero fatto parte del comitato: il Dott. Corrioni, i due Compari dell’omonimo bar, Amelio il macellaio e il Professor Ildebrando Acciari, insegnate di storia e filosofia che, dopo essere andato in pensione, si era ritirato al suo paese di origine, giustappunto, Verbello. L’assemblea si sciolse lasciando ai prescelti il compito di tutelare gli interessi del paese. La prima riunione del comitato non portò grandi risultati, anche perché, discutendo, discutendo, i partecipanti avevano fatto fuori una damigiana di “quello buono”, messa a disposizione dai Compari. Il Corrioni era finito sotto al tavolo, perché era quello che reggeva di meno l’alcol, il Professore aveva iniziato a declamare versi dell’Iliade in greco antico, Amelio guardava nel vuoto e ogni tanto scoppiava a piangere, senza sapere il perché, e i due Compari si erano messi a cantare canzoni sconce, imparate certamente non in sacrestia. Alla seconda riunione il Toscano vietò l’uso del vino e di altri alcolici che avrebbero potuto offuscare le menti. Pensa che ti ripensa, a un certo punto il Professore, che stava sfogliando una rivista di archeologia, gridò con la sua vocetta stridula e con la “r” moscia:
«Eureka! Ho trovato! Guardate qua» e indicò l’articolo che stava leggendo.
“Otzi-la mummia di Similaun”
«E a noi cosa ce ne importa della mummia» disse Amelio, mentre gli altri tacevano perplessi.
«Non capite? Possiamo avere anche noi la nostra mummia, se viene ritrovata in una zona opportuna del Monte Merlo, si scatena l’interesse internazionale e l’area può essere tutelata dal vincolo archeologico. Chiaramente dovremo fare in modo da far pensare che lì ci possa essere un insediamento preistorico». spiegò il Professore.
«Sì, va bene, ma noi una mummia dove la troviamo?» chiese sempre Amelio.
«A questo non avevo pensato» rispose il Professore, grattandosi il capo.
«Lo so io dove l’andiamo a prendere» disse il Toscano che stava rimuginando da parecchi minuti.
«Dove?» chiesero in coro tutti i presenti.
«Avete presente il Romitorio che si trova dall’altro lato della valle? Lì accanto c’è una chiesetta abbandonata e un piccolo cimitero dove, fino a due secoli fa, ci sotterravano i frati. Ho sentito raccontare che alla morte di un loro Fratello i frati, che erano esperti nell’uso di erbe e unguenti, trattavano il cadavere del defunto in modo che si conservasse per il Giudizio Universale, in sostanza lo imbalsamavano. Ne andiamo a scegliere uno bello stagionato e creiamo al contorno una scenografia ad arte. Poi, casualmente, andiamo in comitiva a fare una passeggiata sul versante Nord del Monte Merlo, cercando di coinvolgere qualche giornalista locale con il quale abbiamo amicizia e il gioco è fatto!» disse il Toscano con aria furbetta.
«Ma è un sacrilegio» esclamò Amelio con poca convinzione.
«La nostra è una nobile causa e, in questo caso, il fine giustifica i mezzi. Sono certo che il frate che presterà le sue spoglie sarà orgoglioso di salvare tante creature di Dio» affermò il Dott. Corrioni, ateo, ma credente all’occorrenza, a cui l’idea era piaciuta molto.
Decisero così di non dire nulla agli altri, per non generare discussioni o rigurgiti di coscienza, al massimo informare il Sindaco. Avrebbero coperto tutto con “il segreto di Stato”, il loro, lasciando nel vago la soluzione trovata. Nei giorni successivi fecero alcuni sopralluoghi nel cimitero abbandonato per trovare la tomba più adatta. Le lapidi del cimitero erano per metà distrutte, altre erano così coperte di vegetazione da essere difficilmente individuabili. Tutta quella desolazione depresse la combriccola al punto che fu lì, lì, per mollare tutto. Poi il Toscano, che aveva un pelo sullo stomaco con il quale ci poteva fare le treccine, riprese il controllo della situazione e li esortò a proseguire nei loro intenti. Individuata la tomba adatta allo scopo, quella di Fra’ Ignazio, deceduto nel lontano 1812, decisero che la notte tra il dieci e l’undici ottobre, sarebbe stato il momento migliore per effettuare il “trasbordo”. Il Professor Acciari aveva nel frattempo, studiato tutta la tecnica di imbalsamazione dei frati:
«Dovete sapere che questi frati avevano messo a punto una tecnica formidabile per l’imbalsamazione: una sola iniezione di formalina, glicerina, sali di zinco, alcool, e acido salicilico, a cui spesso aggiungevano un trattamento di paraffina disciolta in etere per mantenere un aspetto vivo e rotondeggiante del corpo».
«Ma che schifo!» commentò Amelio.
«Parli tu che squarti le bestie come se fossero di cartone» rispose il Professore.
«Ma che c’entra? Quello è per mangiarle» ribatté il macellaio.
E anche questa discussione venne troncata dall’intervento risoluto di Romolo. Dopo giorni di preparativi arrivò, finalmente, il momento del misfatto.
La notte era serena e una mezza luna illuminava il paesaggio decisamente spettrale. Avevano lasciato le auto un po’ distanti per non dare nell’occhio e si erano avviati a piedi verso la loro meta. Una leggera brezza creava un fruscio di sottofondo tra le foglie dei pioppi, che si ergevano al limitare del cimitero e tra le tombe. Si presentarono tutti all’appuntamento, ognuno vestito nel modo che riteneva più adatto. Il Dott. Corrioni con mimetica e anfibi; Amelio con il camice da macellaio per non sporcarsi; il Professor Acciari con giacca, cravatta e mocassini di camoscio, pensando forse alla solennità del momento. Quando Romolo e il Toscano scesero dalla loro auto nessuno li riconobbe. Tutti i presenti ebbero un sobbalzo e il Professor Acciari si andò a nascondere dietro un cespuglio. Erano vestiti interamente di nero con un passamontagna che lasciava liberi solo gli occhi, la bocca e il naso, reminiscenza professionale delle passate occupazioni.
Dopo che li ebbero riconosciuti, per completare il quadro della serata, il Professore disse:
«Sentite questo fruscio, sembrano le anime dei defunti che ci parlano».
La reazione degli altri non si fece attendere. Amelio si fece il segno della croce, Romolo fece ampi gesti scaramantici, alcuni dei quali molto sconci, il Veterinario lo guardò in malo modo e il Toscano piuttosto imbufalito gli rispose:
«Professore, già voi siete inutile per questa missione perché non ce la fate a tenere in mano un piccone o un badile, se vi mettete pure a fare il menagramo, giuro che vi metto al posto del frate che stiamo traslocando».
«Come non detto» si affrettò a dire Ildebrando Acciari, alzando le braccia in segno di resa.
Si avviarono silenziosamente, in fila indiana, verso il cimitero. A vederli così, procedere con fare guardingo, curvi, armati di pale e picconi, illuminati dalla luna che proiettava le loro ombre scure sul prato, sembravano una squadra di monatti. Percorsero quegli ultimi metri senza fiatare.
«Eccolo è qui» annunciò Romolo che apriva la fila.
Il cimitero era delimitato da un basso muro, in parte diroccato e si accedeva ai sepolcri da un cancelletto arrugginito, perennemente aperto. La tomba di Frate Ignazio era completamente ricoperta di rovi e sterpi e la lapide giaceva di lato, spaccata in due parti. Su di essa si leggeva a stento: “Nato a Rivarelli il 10 ottobre 1722, morto a Verbello il 20 novembre del 1812, Requiescat in pace”.
«Oh! Ma oggi è l’anniversario della nascita!» disse Amelio con un grido represso.
«E allora? Che vuoi che gli facciamo la festa di compleanno?» lo rimbrottò Romolo che intanto aveva cominciato a scavare.
«No, ma pare brutto, proprio oggi» insisté il macellaio.
«È una banale coincidenza, per il resto non cambia nulla» si intromise il Corrioni.
Smisero tutti di parlare e iniziarono a rimuovere la terra, che era dura come il cemento, sola eccezione il Professor Acciari che, appostato all’altezza del cancelletto, faceva da palo.
Dopo una ventina di minuti di lavoro arrivarono a una cassa di legno. La pulirono completamente della terra, fecero passare sotto delle fasce per sollevarla e la tirarono fuori, non senza sforzo, adagiandola al lato della fossa.
Romolo e Amelio, armati di piccone, iniziarono a fare leva sul coperchio della cassa cercando di scardinare i chiodi arrugginiti che la tenevano serrata. Con uno scricchiolio sinistro il coperchio iniziò ad alzarsi finché, con un ultimo sforzo, la fecero ribaltare completamente. Il Toscano con una torcia illuminò l’interno del feretro e apparve la mummia del Frate. La tonaca con la quale era vestito era ridotta a pochi brandelli ma, al contrario, la salma del frate si era conservata in maniera perfetta. La tecnica di imbalsamazione utilizzata era stata veramente efficace, sembrava proprio che dormisse . Amelio si fece il segno della croce, ma gli altri rimasero indifferenti, più che altro incuriositi da quello che avevano visto. Richiusero la cassa, se la caricarono sulle spalle e si diressero verso le macchine. Il Dott. Corrioni era venuto apposta con il pick-up, in modo da poter mettere la cassa sul retro e coprirla con un telo. Fecero strade interne per non incontrare nessuno e si recarono allo studio del veterinario, dove avevano intenzione di sistemare momentaneamente la bara. Parcheggiarono sul retro dell’ambulatorio e, sempre silenziosamente, portarono la bara nella stanza dove il veterinario teneva le gabbie per gli animali ricoverati. In quei giorni aveva due cani, che erano stati impallinati dal proprietario durante una battuta di caccia al cinghiale e una pecora che si era mangiata due buste di plastica e che aveva dovuto operare per tirargliele fuori. Infilarono la bara nella gabbia più grande, gettarono sopra il telo e si salutarono con cenni del capo e andarono a dormire, soddisfatti del lavoro svolto.
Il giorno dopo si ritrovarono di nuovo al bar, per non dare troppo nell’occhio. Il Sindaco era stato informato di quello che stavano combinando e agli altri era stato detto che avevano trovato la soluzione, ma non si poteva parlare per il rischio che arrivasse alle orecchie dei Belsoliani. Ora dovevano organizzare una messa in scena convincente. Questa volta l’idea venne ad Amelio:
«Dopo che ho visto il cadavere del frate ho pensato che potrebbe essere benissimo quello di un monaco eremita. Sul versante Nord del Monte Merlo, c’è una zona piena di piccole grotte collegate tra loro. Se lo portiamo lì, con un po’ di vettovaglie antiche, potremmo farlo passare per il cadavere dell’eremita Anselmo da Varagine, che è scomparso proprio nei primi anni dell’Ottocento e del quale non si è mai ritrovato il corpo».
«Questa sì che è una buona idea!» esclamò il Professore «Dopo il ritrovamento, potrei scrivere un articolo su una rivista specializzata per sollevare un po’ di cagnara. Al resto ci penseranno i nostri amici giornalisti. Poi se ci si mette in mezzo la Chiesa abbiamo risolto. Con loro i farabutti della Regione non la spuntano».
«Ottimo, ma dove troviamo del vasellame o utensili di due secoli fa?» chiese il Corrioni.
«Semplice, al Museo delle Arti e dei Mestieri di Roccasicca» rispose il Toscano «A questo ci penseremo io e Romolo» e si diedero appuntamento da lì a tre giorni.
§§§
Il Consiglio Comunale di Belsole si preannunciava molto interessante; il Sindaco aveva fatto trapelare che ci sarebbero state novità importanti e così metà della popolazione del paesello era confluita nell’aula consigliare, stipata come non mai. Quando tutti i Consiglieri ebbero preso il loro posto, nell’emiciclo di poltrone a loro destinate, Benito Bruschi, che occupava lo scranno centrale leggermente rialzato, con a fianco i membri della Giunta, prese la parola.
«Cari concittadini, la nostra Amministrazione, che ha soprattutto a cuore il vostro benessere, lavorando indefessamente giorno e notte per portare nuove risorse al nostro paese, ha deciso di realizzare, con il consenso e il supporto della Regione, nuovi impianti sciistici sul versante nord del Monte Merlo, che consentiranno un considerevole incremento del flusso turistico e un consistente aumento del giro d’affari per il nostro territorio…».
«Ma lì non c’è il Parco Regionale?» lo interruppe un membro dell’opposizione, il consigliere Pertuso che, con il solo scopo di portare a casa anche lui qualche beneficio, non mancava mai di sollevare dubbi e problemi, spesso speciosi.
«Stavo appunto per arrivarci se il Consigliere Pertuso mi fa finire il discorso», proseguì il Sindaco «ho già discusso la questione con il Presidente della Regione e con la Direzione del Parco, che hanno dato la loro disponibilità a rimuovere eventuali impedimenti formali al progetto».
«Ma le Associazioni ambientaliste si opporranno di certo!» disse il solito “cacadubbi” dagli scranni dell’opposizione. Il Sindaco gli lanciò un’occhiata di fuoco e proseguì:
«Si è anche pensato di realizzare un albergo-ristorante, dotato di centro benessere che creerà, in questo modo, almeno quaranta nuovi posti di lavoro, per la gioia del Consigliere Pertuso, che la smetterà così di rompere i corbelli». In effetti, avendo due nipoti da sistemare e afferrando il neanche troppo implicito sottinteso, il buon Pertuso non aprì più bocca.
Un mormorio di approvazione si propagò nella sala, anche se a qualcuno scappò detto:
«Speriamo di non fare la fine indecorosa dei Giochi Celtici», ma venne subito silenziato.
Non avendo altro da annunciare e contando sul silenzio assenso dell’opposizione, il Sindaco dichiarò conclusa la riunione del Consiglio, ora toccava all’Assessore Amedeo Briganti, portare a compimento il percorso in Regione.Contemporaneamente al Consiglio Comunale di Belsole, nelle stanze del gruppo consigliare di maggioranza della Regione Merania si stava tenendo una riunione ristretta.Erano presenti i diciotto membri del partito “Prima i Meraniani”, e tutti gli Assessori della Giunta oltre, ovviamente, al Presidente Capafresca. Era stato invitato a partecipare alla riunione anche il Presidente del Parco Regionale del Monte Merlo, Erminio Scalzi che, seduto in un angolo, si guardava intorno timoroso mentre mormorava: «Consiglio di volpi, stragi di galline…».
Quando furono tutti finalmente presenti, il Presidente Capafresca disse:
«Come ho avuto modo di anticipare ad alcuni di voi per le vie brevi, dobbiamo discutere di una questione non semplice ma che porterà un indubbio ritorno positivo alla nostra Regione».
Fece una pausa ad effetto ma, quando stava per riprendere, si inserì al volo nel discorso l’Assessore Briganti:
«Ho sottoposto all’amico Imperio un’idea che lui ha immediatamente accolto con entusiasmo».
Capafresca incassò l’entrata a gamba tesa di Briganti perché nel contesto del partito lui rappresentava la corrente maggioritaria e si ripromise di vendicarsi poi in Giunta. Deglutì, ingoiando il rospo, anche se agli altri non sfuggì il colore delle orecchie che era virato, nel frattempo, al fucsia.
«Come diceva appunto l’amico Amedeo» rimarcando la parola “amico” «ho raccolto la sua richiesta di portare avanti un’iniziativa, che gli era stata suggerita dal Sindaco di Belsole, il carissimo Benito Bruschi» rendendo così la pariglia all’Assessore, che a sua volta dovette incassare senza proferire verbo.
«L’idea consiste nel realizzare nuovi impianti sciistici sul versante Nord del Monte Merlo, unitamente a un complesso alberghiero di grande prestigio. Ovviamente va affrontato e aggiungo, risolto, l’inconveniente dei vincoli irragionevoli, che limitano la crescita di quel territorio».
Dopo un istante di silenzio, durante il quale ogni presente fece due conti sul profitto che poteva trarre da quell’iniziativa, iniziò una trattativa serrata, degna del miglior mercato arabo, tra le varie correnti che reclamavano ciascuna appalti, subappalti o posti di lavoro, in funzione del loro peso elettorale. Il Presidente, forte del proprio ruolo, assurse a dispensatore di pani e di pesci, finché non trovò il perfetto equilibrio tra le parti che si divisero così il cospicuo bottino previsto. La parte del leone la fece ancora una volta Briganti che, tenendo fede al suo cognome e alla sua fama, ebbe l’incarico di coordinare l’intera operazione. Passò in secondo piano il fatto che, per consentire la costruzione degli impianti, i confini del Parco Regionale dovessero essere spostati di qualche chilometro, lasciando fuori di essi lo stesso Monte Merlo, con un’evidente contraddizione con il nome stesso del Parco.
Nel suo angoletto, Erminio Scalzi aveva assistito allo smembramento del Parco da lui diretto, senza battere ciglio, annichilito dalla voracità e dalla cupidigia dei personaggi che si erano confrontati in quella stanza. Aveva maledetto il momento che aveva accettato quell’incarico e ancora di più il giorno in cui si era iscritto all’università alla facoltà di Biologia. Stare sotto ricatto in quel modo gli pesava molto, ma aveva ceduto per due motivi: Il primo per un senso d’inferiorità nei confronti della moglie, che era diventata la “segretaria particolare” di un parlamentare della maggioranza e lui si era sentito un fallito con i suoi assegni di ricerca e contratti da ricercatore precario all’università. L’altro perché si era illuso di poter fare qualcosa di buono in quel posto, sottovalutando il cinismo affarista dei politici di quella regione. Gli passò per la testa di fare il “grande gesto” e dare le dimissioni da Presidente, rilasciando pure una dichiarazione alla stampa. Ma rimosse rapidamente quella pessima idea perché, se non lo avessero ucciso prima i sicari dei politici, lo avrebbe fatto la moglie e in modo molto doloroso. Uscì per ultimo dalla stanza, a capo chino e con un macigno sullo stomaco, frutto del senso di colpa che lo attanagliava.
Dopo qualche giorno, si tenne la riunione di Giunta e, a seguire quella del Consiglio Regionale che a larga maggioranza approvò la modifica. La minoranza, indignata, abbandonò l’aula prima del voto, così come concordato preventivamente con il Presidente Capafresca, ottenendo in cambio la presidenza e due consiglieri di amministrazione in altrettante società di servizi controllate dalla Regione e una decina di posti di lavoro per piazzare i propri adepti. Quando la notizia arrivò a Verbello, il Corrioni corse a comprare la Gazzetta Ufficiale per leggere la delibera e diede appuntamento a tutti al Bar dei Compari. Per convocare una riunione non serviva il Messo Comunale, bastava dirlo a Adelina e, in men che non si dica, tutto il paese era informato. Erano tutti lì raccolti quando entrò il veterinario stringendo in mano la Gazzetta e agitandola in aria.
«Sentite qua cosa sono stati capaci di fare» disse, e iniziò a leggere: «Vista la deliberazione del Consiglio regionale del 07/2021, sulla istituzione del Parco Regionale del Monte Merlo che fa seguito alla deliberazione della Giunta regionale che ne approva la relativa proposta, previa consultazione delle province, delle comunità montane e dei comuni interessati, nelle forme previste dall’art. 22, comma 1, lett.a della legge 394/91. Preso atto dell’articolo 8, comma 4bis, per il quale la delimitazione della riserva, può essere modificata, su richiesta dell’Ente gestore o dei Comuni i cui territorio ricada all’interno dell’area protetta, per motivata necessità di maggior tutela e salvaguardia dell’area. La Giunta Regionale fa propria la proposta di modifica, corredata da planimetria, presentata dal Comune di Belsole, di scorporare il territorio che si estende dalla Valle Perequana fino alla cima del Monte Merlo, versante Nord, sottoponendo lo stesso a un regime di controllo di riserva speciale. Il soggetto cui viene affidata la gestione della riserva, come previsto all’art. 13, commi 1 e 3, della legge regionale 86/83, sarà il Comune di Belsole che fornisce adeguate garanzie sul piano organizzativo e tecnico-scientifico.
Si demanda al gestore:
- le modalità e i termini per l’elaborazione e l’approvazione del piano della riserva;
- la definizione delle attività antropiche nell’ambito della riserva;
Visto e deliberato etc…» e continuò:
«Vi rendete conto di cosa sono stati capaci? Hanno dato la gestione dell’area protetta al Comune di Belsole, come mettere un lupo a guardia delle pecore. Determineranno loro “le attività antropiche”, sapete cosa significa? Che approveranno subito il loro piano criminale e deturperanno con i loro orridi impianti tutta la montagna».
«Beh! Ma noi abbiamo il nostro piano» disse il Professor Acciari.
«Certo, e lo porteremo fino in fondo» concluse il Toscano, «Questa sera, io e Romolo, andremo a prendere il materiale che ci manca» aggiunse, stringendo l’occhio al Corrioni.
Molti dei presenti chiesero chiarimenti su quello che bolliva in pentola ma i “cospiratori” furono vaghi e sfuggenti, con la motivazione che le notizie sarebbero volate dove non dovevano e, in fondo, non avevano poi così torto.
§§§
Il furgone si fermò nella piccola piazza antistante il Municipio del paese di Roccasicca. Lo slargo era poco illuminato da quando il Sindaco aveva deciso di risparmiare sull’illuminazione pubblica così, dopo l’una di notte, rimaneva acceso un lampione ogni tre. Due uomini scesero dal mezzo, due figure scure poco definite che si avvicinarono alla porta laterale dell’edificio sulla quale campeggiava la scritta “Museo delle arti e mestieri”. Uno dei due, il più grosso, aveva in mano un piede di porco da usare per scardinare l’anta fissa del portone. Osservando la serratura, però, vide che era un modello antico, facilmente manipolabile. Tirò fuori dalla tasca un mazzo di grimaldelli e dopo pochi tentativi. La serratura scattò e la porta si aprì. Si guardarono intorno, per vedere se qualcuno avesse sentito il rumore, ed entrarono nell’edificio con fare guardingo. Un cane curioso aveva interrotto il suo girovagare notturno e li guardava dal centro della piazza, certamente stava pensando quanto fossero strani questi esseri umani. I due riaccostarono la porta d’ingresso e con le torce elettriche illuminarono l’interno della stanza. Si trovarono dentro un grande camerone che aveva tutte intorno e al centro vetrine e scaffali dove erano esposti oggetti di vario genere. Dal vomere all’ocarina, dall’arcolaio al tornio per la ceramica, attrezzi piccoli e grandi, appartenuti a diverse epoche, si alternavano sui ripiani e dietro i vetri. I due si fermarono davanti ad una vetrina dove era esposto del vasellame e degli oggetti di legno rinvenuti in scavi archeologici fatti sull’altopiano; sulle etichette poste sotto gli oggetti era scritto che risalivano al diciottesimo secolo. Il più piccolo dei due tirò nuovamente fuori il mazzo di chiavi e grimaldelli e, senza sforzo apparente, aprì la vetrina in meno di un minuto. Tirarono fuori dal sacco che avevano in mano del vasellame di terracotta e di legno e lo sostituirono con quello contenuto nella vetrina, che richiusero con cura. Silenziosamente come erano entrati uscirono dall’edificio, richiudendo la porta alle loro spalle. Il furgone partì lentamente, poi appena fuori dal paese accelerò e di gran carriera giunsero nella piazza di Verbello davanti al Bar dei Compari, dove era in attesa un gruppetto di tre persone costituito dal Corrioni, il Professor Acciari e Amelio. Scesero dal mezzo Romolo e il Toscano, che si erano nel frattempo tolti i passamontagna, il secondo stringendo in mano il sacco di iuta con la refurtiva. Entrarono nel locale facendo cenno agli altri di seguirli. Quando furono all’interno, accesero le luci e il Toscano rovesciò delicatamente il contenuto del sacco su di un tavolo. Agli occhi dei presenti apparvero: Una ciotola di terracotta, un crocefisso e una ciotola in legno d’ulivo, un pettine d’osso e una statuetta di figura femminile con il seno prominente che sfoggiava sei mammelle.
«E questa cos’è?» chiese il Corrioni, «una pupazza popputa vi pare un oggetto da eremita?».
«E che vuol dire, magari anche l’eremita ogni tanto …» disse Romolo, ma venne interrotto da Amelio:
«Ma fammi il piacere! Quelli erano santi uomini non porcelli come te».
«La statuina raffigura la dea della fertilità, erano oggetti pagani che i contadini delle nostre parti tenevano in casa con l’auspicio di avere tanti figli. I figli allora erano una ricchezza, altre braccia per lavorare la terra. In effetti non è un oggetto che possiamo attribuire a un eremita» affermò il Professore, «Comunque, escluso quello, gli altri sono perfetti e risalgono, all’incirca, all’epoca in cui è vissuto Anselmo da Varagine; Bravi! Bel lavoro!».
Riposero tutti gli oggetti in una scatola delle scarpe che nascosero sotto al bancone del bar.
«Ora la parte più difficile» disse il Toscano «Dobbiamo trasportare la bara con il monaco fin dentro una delle grotte sul Monte Merlo. Ho pensato che, una volta messa la mummia nella grotta, potremmo utilizzare il legno della bara per fare dei semplici arredi che aveva l’eremita, che so una panca o un piccolo tavolo. Il legno è molto vecchio, servirà allo scopo e utilizzeremo gli stessi chiodi della cassa».
«Ottima idea!» dissero all’unisono il Corrioni e il Professor Acciari.
«Per trasportare la cassa potremmo farci aiutare da Nandino e farci prestare un mulo dal Sindaco che ne ha due» esordì Amelio, ricevendo il consenso di tutta la combriccola.
«Bene, allora all’opera! Organizziamo per domani notte, partiremo sul tardi verso le due, la luna sarà quasi piena e vedremo bene il sentiero; alle prime luci dell’alba saremo all’altezza delle grotte per montare tutta la scena a modino» concluse il Toscano e, finalmente, poterono andare tutti a dormire.
§§§
L’appuntamento era per le due di notte, sul retro dell’ambulatorio veterinario di Corrioni. La “task force” si presentò puntuale, rinforzata dal giovane Nandino e dal mulo Gennarino. Caricarono la cassa di traverso sul mulo assicurandola in equilibrio con delle corde. Partirono in silenzio portandosi dietro un po’ di attrezzi da falegname e le vettovaglie “prelevate” al museo.
Uscirono dal paese per il viottolo che va verso i campi quindi, attraversata la gola che li separava dal versante nord della montagna, proseguirono sul sentiero che portava verso la cima. I raggi della luna illuminavano il loro percorso e non fu necessario utilizzare le torce elettriche. Quella processione silenziosa, che arrancava sul fianco della montagna, aveva un che di mistico; sembravano pellegrini in cammino verso un luogo sacro; erano invece sei birbanti e un mulo che stavano mettendo su una bella sceneggiata. Quando si dice: l’apparenza. Camminarono così per più di quattro ore e arrivarono in vista delle grotte alle prime luci dell’alba. Ne scelsero una che sembrava facesse al caso loro e vi entrarono per completare l’opera.
Scaricata la cassa, si apprestarono a tirare fuori la mummia del monaco. Quando Nandino la vide lanciò un grido: «Iiiih un vampiro!».
«Ma no, non è un vampiro è un monaco mummificato» lo rincuorò il Corrioni.
«Ma a me pare proprio un vampiro, tale e quale a quello dei film» continuò Nandino.
«I vampiri non esistono Nandi’ e falla finita» tagliò corto il Toscano.
A quel punto il Professor Acciari prese la regia del set per preparare la scena:
«Mettete il monaco, che da questo momento sarà Anselmo da Varagine, in quell’angolo nascosto, e copritelo con un po’ di terra e polvere» rivolgendosi a Nandino e Romolo.
Poi parlando con Amelio e Corrioni:
«Voi invece rompete la bara e con il legno fate alla bell’e meglio una panca e uno sgabello, se vengono sgangherati è meglio. Io e il Signor Toscano pensiamo agli oggetti».
Solerti, si misero tutti all’opera. Vincendo lo schifo, e anche un po’ la paura che gli metteva la mummia, Nandino e Romolo la presero, uno per le spalle e l’altro per le gambe, attenti a non danneggiarla e la misero sul fondo della piccola grotta. Intanto Amelio e Corrioni avevano iniziato a fare a pezzi la bara e con le assi avevano costruito un tavolaccio e una specie di sgabello. Durante l’opera però, si era sfiorata più volte la tragedia. Amelio, non avvezzo a lavori “di fino” aveva sfiorato, con una martellata e per ben due volte, la testa del Corrioni, centrandolo poi alla terza, in pieno su un ginocchio. Per un attimo il veterinario pensò che Amelio avesse scoperto la sua tresca con Rosa e che stesse approfittando del momento per fargliela pagare. Poi, però, si rese conto che era dovuto solo al suo essere maldestro e che se avesse scoperto tutto non si sarebbe certo limitato a una martellata e certamente non sul ginocchio. Quando tutti ebbero finito i loro compiti, la scena si presentava perfetta: le suppellettili un po’ sgangherate, le ciotole alla rinfusa vicino al tavolo, il tutto coperto con polvere e un po’ di terra. Il crocefisso di legno era stato messo in mano al monaco, per dare un tocco drammatico alla tragica fine solitaria dell’eremita. Soddisfatti del lavoro fatto, cancellarono con dei rami le tracce del loro passaggio all’interno e subito fuori della grotta e ripresero la via del ritorno che era già giorno inoltrato. Ora rimaneva solo da organizzare la scoperta “casuale”, e il gioco era fatto.
§§§
Benito Bruschi, nel suo studio panoramico, gongolava per il risultato raggiunto. Il Consiglio Comunale aveva già approvato i lavori e la Conferenza dei Servizi, che si sarebbe tenuta nel pomeriggio del giorno seguente, si presentava favorevole, avendo unto opportunamente tutti i soggetti partecipanti: La Regione, la Provincia e la Direzione del Parco, l’unica che non era allineata era la Sovraintendenza Archeologica, ma quella non costituiva un problema perché, di fatto, non si presentava mai. Subito dopo la Conferenza sarebbero partite le gare d’appalto, truccate ovviamente, e con esse anche il ritorno economico, in più aveva riacquistato credito presso i suoi concittadini e presso sua moglie, nonché nuove prospettive per la sua carriera politica. Era lì che fantasticava sulla sua futura scalata al potere quando bussarono alla porta.
«Avanti!» gridò con voce stentorea.
Fecero irruzione nella stanza quattro consiglieri della maggioranza sventolando delle pagine di giornale.
«Guarda qui che disastro! Che casotto! E ora cosa facciamo? Questo ci rovina tutto!» Gridavano tutti contemporaneamente.
«Ehi! Calma, che succede? Fatemi capire» disse il Sindaco, cominciando ad agitarsi.
Prese uno dei giornali dalle mani del più vicino e incominciò a leggere: “Rinvenuta una salma, apparentemente mummificata, sul Monte Merlo, si pensa che possa appartenere all’eremita Anselmo da Varagine, scomparso nei primi anni dell’Ottocento, rinvenuti anche preziosi oggetti appartenuti al Sant’uomo.”
Sulla colonna laterale era riportato un editoriale del Professor Ildebrando Acciari, che sottolineava l’importanza del rinvenimento e il valore archeologico, ma anche religioso, che l’intero sito poteva rappresentare.
A Benito Bruschi si gelò il sangue, soprattutto queste ultime frasi lo avevano gettato nello sconforto. “Se si mettono di mezzo i preti è finita” pensò, “Devo correre subito dall’assessore”.
Strappò di mano gli altri giornali ai convenuti e uscì dalla stanza di gran carriera gridando loro:
«Non fate nulla e non dite nulla fino la mio ritorno!».
Salì in auto e, guidando come una furia, si precipitò alla sede della Regione. Quando arrivò, l’Assessore Briganti stava facendo una delle sue “colazioni di lavoro” nel ristorante davanti agli uffici regionali. Era al tavolo con un gruppetto d’imprenditori che si occupavano di smaltimento dei rifiuti, lo guardò con aria seccata e gli fece cenno che non poteva essere disturbato. Il Sindaco però sventolò le pagine di giornale sillabando: “È im-por-tan-te.”
Allora l’Assessore si alzò con fatica dalla sedia e trascinò il suo corpo flaccido fuori dal tavolo. Indicò a Bruschi la porta del bagno e si ritirarono, ancora una volta, in quello che era il loro solito luogo d’incontro. Il Sindaco pensò: “Ma con questo, sempre e solo al cesso si può parlare?”.
«Che succede? Hai interrotto una trattativa importantissima, avevo quasi concluso lo smaltimento dei nostri rifiuti regionali per i prossimi cinque anni. Vogliono troppo per portarseli via ma troveremo un accordo» disse Briganti sbuffando.
«E dove li portano» chiese ingenuamente il Sindaco.
«E a noi cosa ce ne frega di dove li portano?» rispose spazientito l’Assessore «Che li sotterrino, li buttino in mare, li brucino, quello è affar loro, basta che lo facciano fuori dalla nostra Regione. Ma veniamo a noi, cosa succede di così grave?».
Bruschi, gli fece leggere l’articolo e gli espose le sue preoccupazioni. Il suo interlocutore rimase in silenzio per alcuni istanti, si poteva sentire il rumore delle rotelle di quel cervello privo di scrupoli. Poi un sorriso sinistro si fece largo su quel faccione.
«Ma è una botta di c…, una fortuna enorme!» gridò entusiasta.
«Ma come “è una fortuna”? Così si blocca tutto, non tanto la Sovraintendenza, ma sai i preti come la prendono» rispose perplesso il Sindaco.
«Ma sono proprio loro la nostra fortuna! Chiamerò subito il Vescovo per comunicare la grande scoperta e l’intenzione della Regione di finanziare la realizzazione di un santuario proprio in quel luogo. Amico mio, il business delle sacre reliquie ha duemila anni, a loro non possiamo proprio insegnare nulla. Vedrai che anche per il tuo paese si sarà un bel ritorno, i pellegrini non conoscono la bassa stagione, gli alberghi lavoreranno tutto l’anno, e noi provvederemo a costruirne ad hoc per favorire i tanti fedeli che correranno in massa per vedere le spoglie dell’eremita. Ma ora vai, vai in pace, al resto ci penserò io».
Benito Bruschi uscì confuso ma rinfrancato dalla stanza bagno, sotto gli sguardi ammiccanti degli “uomini d’affari” seduti al tavolo dell’Assessore. Solo allora, guardando le loro facce assai poco raccomandabili, si rese conto con quale combriccola di persone fosse in trattativa il Briganti. Riprese la strada verso casa ansioso di andare assicurare i suoi sul futuro dei loro affari. L’Assessore non perse tempo, appena finita la riunione con il comitato d’affari della “monnezza”, chiamò subito subito la sede della diocesi vescovile e prese appuntamento con sua Eminenza il Vescovo Strozzagatti che, considerato l’argomento, lo ricevette immediatamente.
«Caro Amedeo, che piacere vederti, sia lodato Gesù Cristo» esordì il Vescovo allargando le braccia come per un ecumenico abbraccio.
«Sempre sia lodato» rispose Amedeo Briganti, accennando un inchino e baciando l’anello episcopale che il vescovo porgeva con accondiscendenza.
«Ti ho dato subito udienza perché il ritrovamento delle spoglie mortali di quel Sant’uomo Anselmo da Varagine, uno degli ultimi eremiti dell’era moderna, un asceta che dedicò la sua esistenza a Dio, mi ha riempito di gioia e mi fa piacere condividerla con te» disse il Vescovo anticipando l’Assessore.
«Eminenza, proprio di questo volevo parlarle. La Regione vuole dare un segno tangibile per rendere omaggio alla figura di quest’uomo che ha onorato con la sua presenza le nostre montagne. I sentieri dei suoi pellegrinaggi possono essere ripercorsi dai fedeli per cercare il raggiungimento di una purificazione spirituale in un assoluto distacco dal mondo…» si lanciò il Briganti.
«Fermo là Amedeo! Vuoi forse rubarmi il mestiere?» lo apostrofò il Vescovo accennando un sorriso, «So bene cosa vuol dire questo ritrovamento, dimmi piuttosto che cosa avete in mente di fare» continuò i prelato, andando subito al sodo.
«Abbiamo pensato di costruire un santuario, che comprenda al suo interno la grotta che ospitava il povero eremita e, per favorire i fedeli e i pellegrini che vorranno visitarlo, delle strutture alberghiere dotate di tutti i comfort, una piccola area commerciale con negozi, per chi volesse portare con sé un ricordo di questa esperienza mistica» spiegò l’assessore.
«Bene, vedo che, come al solito, ti stai muovendo bene in queste acque e sono felice di sentire che hai deciso di delegare a noi l’organizzazione dell’ospitalità dei pellegrini» disse il Vescovo con un sorriso a trentadue denti.
«Ma veramente io questo non l’ho detto» obiettò il Briganti.
«Ma era chiaro dalle tue parole e te l’ho letto negli occhi, d’altronde, chi meglio di noi su questo tema? E poi, perché saresti venuto a trovarmi se no?» ribatté prontamente il Monsignore.
«Va bene Padre, ho capito, tanto l’ultima parola è sempre la vostra» si lamentò l’Assessore.
Allora il vescovo si avvicinò e gli sussurrò in un orecchio:
«Caro figliolo, noi questo mestiere lo facciamo da duemila anni, voi siete, praticamente, nati ieri e pensate di venire a fregare proprio a noi. Con i tuoi pari sarai pure il più furbastro, ma con i “professionisti” non ti ci puoi mettere. Avete ancora molto da imparare caro figliolo, ma ora va, va in pace, che io corro dal Cardinale a dare la buona novella» congedandosi da Amedeo che alle sue parole era rimasto lì, come uno stoccafisso, con la bocca mezza aperta, senza avere la forza di dire nulla.
§§§
Quando a Verbello arrivò la notizia del cambio di rotta di quella congrega di filibustieri, furono tutti colti da profonda depressione. Il fatto che gli alberghi servissero a ospitare i pellegrini anziché gli sciatori cambiava ben poco. La costruzione del santuario poi era ancora più invasiva degli impianti di risalita.
«Abbiamo fatto un buco nell’acqua» esordì il Corrioni mentre sorseggiava una cedrata nel Bar dei Compari.
«Questi ne sanno una più del Diavolo, ce ne vuole per fregarli» mormorò Amelio che rimirava il bicchiere ormai vuoto di bianchetto.
«Quel Briganti poi, delinquenti così non ne ho mai conosciuti» aggiunse Romolo, che di criminali ne aveva conosciuti di tutte le risme.
«Eppure un modo ci deve essere» concluse il Toscano che non ci stava a perdere neanche a scopa, figurarsi in un frangente simile.
«Un modo ci sarebbe» disse un nuovo avventore entrando nel bar.
A quelle parole tutti si girarono verso la porta. Sulla soglia apparve Erminio Scalzi, il Presidente del Parco Regionale Monte Merlo.
«Siete stati furbi a inventarvi questa storia dell’eremita, ma io non ci ho creduto neanche un secondo. Queste montagne le conosco come le mie tasche, le ho girate in lungo e in largo e quelle grotte non ricordo nemmeno quante volte le ho esplorate. Dovevo solo capire chi poteva aver avuto un’idea del genere» concluse accomodandosi anche lui al bancone del bar.
«Che me lo fai un caffè?» chiese.
«Oh Erminio! Se sei venuto per prenderci per i fondelli sta un po’ attento, che qui di pazienza ce n’è ben poca» minacciò il Toscano prendendo subito d’aceto.
«Tranquillo Tosco’, son venuto per aiutarvi e togliermi qualche sassolino dalla scarpa» lo rassicurò bonario Scalzi, e proseguì: «Come sapete mia moglie lavora nella Segreteria Particolare del Senatore di cui conoscete il nome. Essendo il suddetto a capo della congrega di delinquenti che sta amministrando la nostra regione, potete certo immaginare che lui sia a conoscenza degli scheletri negli armadi di ogni membro del suo partito, cosa che gli consente di mantenere il controllo totale su tutto e su tutti. Caso vuole che, alla mai Signora, quando si trova tra le mura domestiche e si fa un bicchiere di troppo, le si sciolga la lingua e cominci a raccontarmene di cotte e di crude. Così, con il tempo, anche io mi sono fatto un personale dossier delle puttanate commesse da questi nobili signori e abbia raccolto le prove di tutto quello che hanno combinato, compresi: il Presidente Capafresca, l’Assessore Briganti e pure quel sant’uomo di sua Eccellenza Strozzagatti».
Appena finì il discorso, nel bar calò un silenzio di tomba, si poteva sentire il ticchettio dell’orologio da muro, rubato a una stazione ferroviaria, e il rumore delle rotelle del Toscano che stava elaborando la sua strategia.
Fu sempre Scalzi a rompere il silenzio:
«In fondo “chi di spada ferisce di spada perisce”, hanno fatto del ricatto la loro arma principale e noi con essa facciamo giustizia» tuonò il biologo con un moto d’orgoglio. Anni di frustrazioni e di compromessi buttati alle spalle, l’amor proprio e la dignità avevano preso il sopravvento. Pensò: “Sarà quel che sarà, male che vada andrò a fare il professore di scienze in qualche scuola”. Seguì un’accesa discussione e, come al solito, il Toscano elaborò un piano perfetto che avrebbe messo fuorigioco i tre soggetti.
Tre giorni dopo questi fatti, il Presidente Capafresca, l’Assessore Briganti e pure quel sant’uomo di sua Eccellenza Strozzagatti, si videro recapitare una raccomandata con su scritto “Riservata Personale”, che aveva come mittente un certo “Comitato per la salute pubblica”. Aperta la lettera, ebbero tutti e tre bisogno di una sedia dove sedersi perché le gambe non erano più in grado di sorreggerli. Addirittura, il segretario del buon Strozzagatti dovette chiamare urgentemente un medico perché il Vescovo aveva avuto un improvviso aumento di pressione con un accenno di emiparesi.
In estrema sintesi, nelle lettere erano elencati una serie di fatti, con dovizia di particolari, che avrebbero potuto mandare nelle patrie galere il destinatario, per almeno una decina di anni. Su tutte e tre si minacciava l’invio a tutte le testate giornalistiche, comprese quelle online, comprese TV e social per completare l’opera. Per scongiurare tutto questo, venivano date precise indicazioni su quello che i tre malcapitati avrebbero dovuto fare. Le lettere erano tutte firmate “Robespierre”. Decisero di vedersi al più presto per fare fronte comune a questa terribile minaccia, e si incontrarono nello studio dell’assessore che li fece accomodare, come consuetudine nella stanza da bagno. C’è da dire che vedere il Vescovo seduto sulla tazza dava a quel luogo un che di mistico e solenne.
«Io mi domando come diavolo abbia fatto questo delinquente ad avere queste informazioni?» esordì Capafresca.
«E poi così dettagliate!» continuò Briganti.
«Qualcuno nel partito vuole prendere il nostro posto» concluse il Presidente.
«Ma io che c’entro con le vostre beghe politiche?» implorò il Vescovo, che parlava a fatica, con la bocca leggermente storta a sinistra.
«E poi non chiede soldi né altro, vuole solo che facciamo quel comunicato, ma voi ci capite qualcosa?» chiese Briganti che, per la prima volta, aveva perso la sua solita arroganza.
«Secondo me è qualche ambientalista del ca…».
«Alessio!»
«Perdoni Padre, ma questa è una vigliaccata infame, sa quanti soldi saltano così?».
«Non c’è bisogno che me lo ricordi, ma come si dice “Quando sei martello batti ma quando sei incudine statti»
«È scritto nel Vangelo?»
«No, è un detto del paese mio».
Il giorno dopo uscì un comunicato stampa della Presidenza Regionale che recitava così:
«In seguito al ritrovamento della ultima dimora e dei resti mortali dell’eremita Anselmo da Varagine, dopo un’attenta analisi e profonda riflessione, sentita anche la Curia Vescovile per le sue competenze, la Giunta Regionale ha deciso che, tenendo conto del patrimonio naturale del Monte Merlo, dell’importanza della biodiversità come valore assoluto per la tutela ambientale, nel rispetto della pia scelta di Anselmo da Varagine di vivere nella natura e nel rispetto di essa, l’intera area del Parco Regionale sarà destinata a riserva integrale e proposta come SIC (Sito di Interesse Comunitario). L’area che ospita i reperti archeologici è data in gestione all’Ente Parco che ne predisporrà i criteri di accesso e di tutela. Questa Giunta predisporrà tutte le delibere attuative di quanto comunicato».
§§§
Quando il Sindaco di Belsole, Benito Bruschi, aprì il giornale quella mattina, dopo aver letto il comunicato, prima rimase senza fiato, poi lanciò un bestemmione come non aveva mai fatto. La moglie gli chiese cosa fosse successo e lui rispose:
«Nulla, non è successo nulla» e pensò “Ora chi glielo dice che dobbiamo rinunciare all’acquisto dell’attico a Parigi?”
Si chiuse in bagno e iniziò a piangere sommessamente.
A Verbello invece si organizzò una grande festa. Tavolate per le vie del paese, vino a fiumi, musica e balli nella piazza principale (e unica). Non che fosse meno la loro miseria, ma la soddisfazione di aver fatto quel brutto tiro a Belsole e a tutta quella combriccola di delinquenti li riempiva di orgoglio. Per l’occasione fu invitato anche il Dottor Erminio Scalzi, che prese una bella ciucca godendosi la momentanea gloria come Presidente del Parco Regionale e Riserva Integrale del Monte Merlo.
Voi direte: «Ma perché momentanea?».
Perché aveva deciso di lasciare la moglie e rifarsi una vita lontano dai compromessi e dalla corruzione di Palazzo. Certamente la vendetta non si sarebbe fatta attendere, ma questa è un’altra storia…
FINE, per ora…
Bellissima storia, molto divertente da leggere tutta d’un fiato. Grazie
Molto divertente e ben scritta, ma è una storia troppo simile alla realtà di questo povero paese per non lasciare l’ amaro in bocca
Grazie per il commento, in effetti il titolo “Si ride per non piangere” nasce proprio dalla sua constatazione. Prometto che il prossimo racconto sarà più distante dalla realtà (anche se fatico sempre di più a trovare spunti ironici)
Delizioso racconto, purtroppo con molta veridicità con ciò che accade veramente nella realtà di tutti i giorni e che purtroppo non ci fa onore come cittadini di questo nostro malandato Stato… è possibile avere l’accesso alla prima parte del racconto? Grazie e ancora complimenti
Buongiorno, la ringrazio per il positivo commento. Tutti gli altri racconti, che pubblico periodicamente, compresa la prima parte di “Una storia buffa”, li può trovare nella sezione racconti brevi del mio sito autore. https://www.illupocerviero.it
Un cordiale saluto